giovedì 28 novembre 2013

( E il dolore se n’è andato di Simona Oberhammer) Ci sono donne che non parlano delle loro ferite. Dicono « Sì, sì è il mio dolore » e chiudono il discorso. Mettono una pietra sopra perché è stato loro insegnato a reprimere, a nascondere.


Quando il dolore arriva,

ci sono donne che lo inghiottono a sorsate amare.

Altre invece lo sputano in faccia a chi glielo procura.

Tutte però raccolgono i brandelli di se stesse.

Come fare allora? Come gestire quel dolore che tante volte ci fa sentire così fragili e sopraffatte? Quali sono gli strumenti per interpretarlo e curarlo?

Il dolore va prima di tutto liberato.

Non però con una mitragliata sparata a caso, ma facendolo defluire.

Una donna non può essere veramente libera, se non lascia libero il suo dolore passato, una volta per tutte.

E non può essere veramente forte se non affronta con coraggio il suo dolore.

Ci sono donne che non parlano delle loro ferite.

Dicono « Sì, sì è il mio dolore » e chiudono il discorso. Mettono una pietra sopra perché è stato loro insegnato a reprimere, a nascondere.

Ci sono altre donne invece che lasciano crescere quel dolore segreto a dismisura, occupando tutta la cella in cui si è imprigionato, come se volessero farlo esplodere.

E infine ci sono donne che hanno trovato il coraggio di liberarlo, quel dolore.

Sono scese giù negli scantinati bui dell’anima, con una lanterna in mano e le chiavi nell’altra.

Hanno respirato quell’odore di muffa e di pietre marce, hanno girato la chiave nella toppa arrugginita e hanno detto con un cenno: «Forza, esci e vattene ».

E il dolore se n’è andato, ululando e guardandole per un’ultima volta.

È svanito con il suo lezzo di luoghi chiusi.

Negli occhi di queste donne c’era la voglia di ritornare forti e positive.

Poi hanno desiderato subito l’aria fresca e sono corse fuori con tutta la forza delle loro gambe, saltando i gradini. Libere…

 

(Simona Oberhammer)

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