venerdì 29 novembre 2013

Clicca la foto per leggere


giovedì 28 novembre 2013

Tu dicevi che ero trasparente E facile da dimenticare. Ma allora perché cercavi di usare la mia vita Per provare a te stesso chi sei tu? (Leo Buscaglia)


La mia felicità sono io, non tu.

Non soltanto perché tu puoi essere fugace,

Ma anche perchè tu vuoi che io sia ciò che non sono.

Io non posso essere felice quando cambio

Soltanto per soddisfare il tuo egoismo

E non posso sentirmi felice quando mi critichi perché

non penso i tuoi pensieri

E non vedo come vedi tu.

Mi chiami ribelle.

Eppure ogni volta che ho respinto le tue convinzioni

Tu ti sei ribellato alle mie.

Io non cerco di plasmare la tua mente.

So che ti sforzi di essere te stesso.

E non posso permettere che tu mi dica cosa devo essere…

Perché sono impegnata ad essere me.

Tu dicevi che ero trasparente

E facile da dimenticare.

Ma allora perché cercavi di usare la mia vita

Per provare a te stesso chi sei tu?

(Leo Buscaglia)


Una donna forte è un mucchio di cicatrici che fanno male quando piove e di ferite che sanguinano quando le urti


Una donna forte

è un mucchio di cicatrici che fanno male

quando piove e di ferite che sanguinano

quando le urti e di memorie che si svegliano

di notte e marciano avanti e indietro.

Una donna forte è una donna che ha bisogno assoluto d’amore

come d’ossigeno oppure diventa cianotica.

Una donna forte è una donna che ama

fortemente e piange fortemente e fortemente

è terrorizzata e ha forti desideri.

Una donna forte è forte

in parole, opere, relazioni, sentimenti,

non è forte come una roccia ma come una lupa

che allatta i suoi piccoli.

La forza non è in lei,

ma lei la mette in moto come il vento che gonfia una vela.

(Marge Piercy)

( E il dolore se n’è andato di Simona Oberhammer) Ci sono donne che non parlano delle loro ferite. Dicono « Sì, sì è il mio dolore » e chiudono il discorso. Mettono una pietra sopra perché è stato loro insegnato a reprimere, a nascondere.


Quando il dolore arriva,

ci sono donne che lo inghiottono a sorsate amare.

Altre invece lo sputano in faccia a chi glielo procura.

Tutte però raccolgono i brandelli di se stesse.

Come fare allora? Come gestire quel dolore che tante volte ci fa sentire così fragili e sopraffatte? Quali sono gli strumenti per interpretarlo e curarlo?

Il dolore va prima di tutto liberato.

Non però con una mitragliata sparata a caso, ma facendolo defluire.

Una donna non può essere veramente libera, se non lascia libero il suo dolore passato, una volta per tutte.

E non può essere veramente forte se non affronta con coraggio il suo dolore.

Ci sono donne che non parlano delle loro ferite.

Dicono « Sì, sì è il mio dolore » e chiudono il discorso. Mettono una pietra sopra perché è stato loro insegnato a reprimere, a nascondere.

Ci sono altre donne invece che lasciano crescere quel dolore segreto a dismisura, occupando tutta la cella in cui si è imprigionato, come se volessero farlo esplodere.

E infine ci sono donne che hanno trovato il coraggio di liberarlo, quel dolore.

Sono scese giù negli scantinati bui dell’anima, con una lanterna in mano e le chiavi nell’altra.

Hanno respirato quell’odore di muffa e di pietre marce, hanno girato la chiave nella toppa arrugginita e hanno detto con un cenno: «Forza, esci e vattene ».

E il dolore se n’è andato, ululando e guardandole per un’ultima volta.

È svanito con il suo lezzo di luoghi chiusi.

Negli occhi di queste donne c’era la voglia di ritornare forti e positive.

Poi hanno desiderato subito l’aria fresca e sono corse fuori con tutta la forza delle loro gambe, saltando i gradini. Libere…

 

(Simona Oberhammer)

lunedì 11 novembre 2013

Tocco la tua bocca, con il dito tocco il bordo della tua bocca, la disegno come se uscisse dalla mia mano, come se per la prima volta la tua bocca si aprisse, e mi basta chiudere gli occhi per rifarlo tutto e ricominciare

Tocco la tua bocca, con il dito tocco il bordo della tua bocca, la disegno come se uscisse dalla mia mano, come se per la prima volta la tua bocca si aprisse, e mi basta chiudere gli occhi per rifarlo tutto e ricominciare, faccio nascere ogni volta la bocca che desidero, la bocca che la mia mano sceglie e ti disegna sulla faccia, una bocca scelta tra tutte, con sovrana libertà scelta da me per disegnarla con la mia mano sulla tua faccia, e che per un caso che non cerco di comprendere coincide esattamente con la tua bocca che sorride da sotto la mia mano che ti disegna. Mi guardi, da vicino mi guardi, sempre più da vicino, e allora giochiamo al ciclope, ci guardiamo ogni volta più da vicino e gli occhi si ingrandiscono, si avvicinano, si sovrappongono, ed i ciclopi si guardano, respirando confusi, le bocche si incontrano e lottano debolmente mordendosi le labbra, appoggiando appena la lingua tra i denti, giocando nei suoi recinti dove un’aria pesante va e viene con un profumo vecchio e un silenzio. Allora le mie mani cercano di fondersi nei tuoi capelli, accarezzare lentamente la profondità dei tuoi capelli mentre ci baciamo come se avessimo la bocca piena di fiori e di pesci, di movimenti vivi, di fragranza oscura. E se ci mordiamo il dolore é dolce, e se ci affoghiamo in un breve e terribile assorbire simultaneo dell’alito, questa istantanea morte é bella. E c’é una sola saliva ed un solo sapore a frutta matura, ed io ti sento tremare contro di me come una luna nell’acqua.
(Julio Cortázar, da Rayuela – capitolo 7)

Clicca la foto per leggere

Mio caro Simone, dopo di te il rosso non è più rosso,
l’azzurro del cielo non è più azzurro, gli alberi non sono più verdi.
Dopo di te, devo cercare i colori dentro la nostalgia che ho di noi…
i nostri sguardi rubati in mezzo a un mondo di ciechi,
che non volevano vedere.
dal film “La finestra di fronte”

Avrei potuto mandarlo al diavolo e cercare una vita più semplice. Avrei potuto, invece l’ho preso per mano.

Ho capito di essere innamorata di lui quel giorno d’inverno di qualche anno fa quando avrei potuto partire, sarei potuta cambiare, quel giorno in cui sembrava tutto in bilico, quando erano settimane che non si faceva l’amore. Avrei potuto urlare, ridere di lui perché, anche se piangevo spesso, sono sempre stata la più forte tra noi due. Ho capito di essere innamorata di lui quando anche solo una sua parola mi faceva innervosire, quando erano giorni che non ci si abbracciava, quando erano mesi che ci si baciava distratti. Ho capito di essere innamorata di lui quel giorno in cui, fragile come mai, mi ha detto: “non so che fare”. Io gli ho risposto sicura quello che c’era da fare, e che non c’era da aver paura. “Ecco quello che faremo, andremo in quel bar, prenderemo qualcosa di caldo e parleremo fino a che non ci butteranno fuori, poi usciremo e continueremo a parlare fino a che non ci sembrerà che tutto il mondo abbia spento la luce per farci brillare un po’ di più”. Avrei potuto voltargli le spalle, ero fin troppo giovane. Avrei potuto mandarlo al diavolo e cercare una vita più semplice. Avrei potuto, invece l’ho preso per mano. Tanto ci saremmo mancati, tanto ci desideravamo ancora, tanto a volte bisogna rimboccarsi le maniche e salvarli, certi amori.
Susanna Casciani